evitamento
La vita è un viaggio sperimentale, compiuto involontariamente. È un viaggio dello spirito attraverso la materia e, siccome è lo spirito a viaggiare, è nello spirito che si vive. Perciò vi sono anime contemplative che hanno vissuto in modo molto più intenso, più esteso, più turbolento di altre che hanno vissuto una vita esterna. Il risultato è essenziale. Ciò che si è sentito è ciò che si è vissuto. Si rientra da un sogno stanchi quanto da un lavoro reale. Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto.
Colui che rimane in un angolo del salone balla con tutti i ballerini. Vede tutto e, poiché vede tutto, vive tutto. Giacché tutto, in fin dei conti e in ultima istanza, è una nostra sensazione, il contatto con un corpo vale quanto la sua visione o perfino il suo semplice ricordo. Ballo, dunque, quando vedo danzare. Posso dire come il poeta inglese, quando raccontava che disteso sull’erba contemplava tre mietitori in lontananza: “Ce n’è un quarto che sta mietendo, e quello sono io”.
Tutto questo, che è detto come è sentito, viene a proposito della grande stanchezza apparentemente ingiustificata che è calata su di me oggi all’improvviso violenze statiche, di avventure passate senza movimento. Sono stufo di ciò che non ho mai avuto né avrò, stanco degli Dèi che non esistono. Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. Il mio corpo muscolare è dolorante per lo sforzo che non ho mai pensato di compiere.
Opaco, muto, nullo... Il cielo alto è di un’estate morta, imperfetta. Lo guardo come se non stesse lì. Dormo ciò che penso, sono sdraiato e cammino, soffro senza sentire. La mia grande nostalgia è di nulla, di nulla, come il cielo lassù che non vedo e che sto osservando in modo impersonale.